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Antonella Bonini Oggetti d’ornamento Il numero degli oggetti d’ornamento personale rinvenuti negli strati pertinenti al santuario di età romana è nettamente minore rispetto a quello degli oggetti recuperati nell’area occupata dagli altari preromani. Le modalità del rinvenimento e le vicende del santuario posteriori al suo abbandono, inoltre, non consentono di stabilire se si tratti di doni deposti intenzionalmente oppure di oggetti perduti da parte del proprietario; infatti la maggior parte dei manufatti proviene da strati di crollo e di degrado delle strutture dell’area sacra. Si tratta di una borchia e di un orecchino, entrambi in oro, di una gemma vitrea incisa, di due vaghi vitrei e di tre fibule, due dischi forati al centro, un anello digitale e altri anelli di piccole dimensioni, forse parte di catene, di un pendaglio a forma di fallo, una seconda borchia e frammenti di laminette, tutti in bronzo. La piccola borchia in oro (n. 1) (Fig. 1), i cui margini sono ritagliati, doveva fare parte di un oggetto di dimensioni maggiori, non reca infatti tracce di altro materiale che poteva essere utilizzato per il fissaggio a un supporto, oppure di lavorazioni che la assicurassero a un altro oggetto. Potrebbe trattarsi della sommità della calotta di una bulla o forse anche di parte delle borchie di chiusura di una collana o di un orecchino 1; le condizioni di conservazione del pezzo non consentono di stabilire altro. La borchia è stata rinvenuta nelle ricariche di terreno effettuate per la costruzione del santuario di età flavia attorno all’85 d.C., che costituisce il termine ante quem per la presenza di questo oggetto, ma non è possibile stabilire se esso provenga dall’area degli altari protostorici, rimasta in uso fino al I secolo d.C., oppure dalle strutture del santuario di età augustea. L’orecchino è uno degli oggetti d’ornamento personale più frequenti nel mondo antico, tipico dell’ambito muliebre; di esso esistono così numerosi tipi comuni a tutto il mondo romano Sono grata a Martin Henig, Gertrud Platz ed Erika Zwierlein-Diehl per i consigli, i preziosi suggerimenti e le indicazioni bibliografiche che mi hanno confortato nello studio della pasta vitrea. (1) PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1992, passim. 358 da rendere impossibile una loro classificazione o l’identificazione di una moda o di un gusto locale 2. Al pari di altri oggetti preziosi erano offerti alle divinità e registrati nell’inventario dei donari dei templi. L’orecchino rinvenuto nel santuario di Breno è in lamina d’oro, schiacciato e lacunoso (n. 2) (Fig. 2). Il disco è decorato con una rosetta stilizzata, costituita da serie concentriche di minuscoli tratti. I confronti più immediati rimandano al prototipo degli orecchini a disco di produzione ellenistica, di lunga tradizione, con rosetta centrale a più ordini di petali 3. Il modello conosce una vita lunghissima e viene prodotto anche dalle officine orafe tardoromane che riprendono e rielaborano i modelli classici 4 dando origine al tipo a cestello ampiamente attestato nell’area dei passi alpini e in Europa tra VI e VIII secolo d.C. 5. Già la Melucco Vaccaro, analizzando le caratteristiche tecniche degli orecchini a cestello diffusi nei passi alpini, che costituiscono un gruppo omogeneo presente non a caso nelle aree di più intensa romanizzazione 6, aveva supposto qui la presenza di officine locali, influenzate proprio dalla produzione tardoromana. L’esemplare di Breno, che si differenzia dai più tardi orecchini a cestello per l’assenza del pendente e dell’anello di sospensione, sostituito da un filo decorato a trattini incisi, parrebbe costituire un trait d’union tra gli orecchini a disco di tradizione ellenistica e quelli a cestello tipici dell’oreficeria tardoromana e altomedievale 7. La gemma vitrea (n. 3) (Fig. 3) proviene da contesti di abbandono del santuario, pertanto, (2) Monili vesuviani 1997, p. 18. (3) Ori di Taranto 1984, pp. 160-179. (4) BECATTI 1955, p. 196, n. 388; gli orecchini a disco con rosetta centrale, cui sono però appesi vari pendagli, sono uno dei modelli più diffusi per tutto l’ellenismo; vengono rielaborati in nuove forme in età tardoantica: orecchini da Castel Trosino, tomba 128, BECATTI 1955, p. 125. (5) MELUCCO VACCARO 1972, p. 11 da Dos Trento, Igls, Vervò, Matrei, Torino Lingotto e Testona, Trento, tutti dipendenti dal tipo di “Castel Trosino”. (6) MELUCCO VACCARO 1972; cfr. anche BREGLIA 1941, pp. 94-100. (7) ROSSI 1997. anche in questo caso, non è possibile stabilire se facesse parte di un oggetto deposto nel santuario oppure, più semplicemente, non sia stata perduta dal proprietario. La gemma, a imitazione del nicolo, è giunta lacunosa e in frattura mostra una porosità che ne indica l’alta qualità; lo strato bianco-azzurrino del fronte ha aspetto decisamente compatto, vetroso, siliceo, con una sottile superficie di adesione tendente a formare bolle sul fronte e lungo le pareti quasi a creare un effetto cammeo 8. È di forma ovale, con superficie inferiore piana, mentre la superiore è piana nella parte recante l’incisione con i bordi inclinati; corrisponde alla forma 11 della Zwierlein-Diehl 9. La raffigurazione è inconsueta e non trova confronti precisi nei numerosi repertori di collezioni e musei; il fatto è abbastanza insolito poiché questo tipo di produzione, che prevede la presenza di matrici incise da cui ricavare gli stampi per le gemme vitree, è seriale e ripetitivo, tanto che è frequente l’esistenza di serie derivanti, direttamente o indirettamente, da un medesimo originale. Ma l’osservazione delle caratteristiche tecniche dell’incisione ne ha rivelato una certa cura; infatti la nitidezza dei solchi, in particolare del busto della figura e dello scudo, non è confrontabile con quella che si riscontra normalmente nei lavori a stampo nei quali i dettagli sono più incerti e confusi e fa sospettare che l’incisione sia stata effettuata direttamente sul vetro, con l’impiego di dischi non troppo sottili e della punta “semitonda” (Flachperl) 10. La figura rappresentata è un gladiatore vittorioso, stante, che con il braccio destro regge la palma e con il sinistro una corona da cui pendono delle bende, ai suoi piedi uno scudo rotondo con costolature radiali e umbone centrale 11. Lo schema di riferimento, abbastanza (8) Devo le osservazioni sulla composizione della gemma vitrea a Lucia Miazzo. (9) ZWIERLEIN-DIEHL 1973, p. 15. (10) Sulle tecniche di produzione delle gemme vitree: MAGNI, TASSINARI c.s. Ad Alessandra Magni e Gabriella Tassinari grazie per tutte le indicazioni bibliografiche e le osservazioni tecniche. (11) La rappresentazione di palme e corone si ritrova di frequente sui rilievi funerari di gladiatori: ROBERT comune, è quello dell’atleta nudo, stante, che appare su un intaglio in nicolo da Colonia 12, mentre atleti nudi con palma e uno scudo compaiono su un altro intaglio in nicolo da Xanten 13 e su un intaglio in corniola a Vienna 14. Gladiatori sono raramente raffigurati su oggetti di pregio, come le gemme, e altrettanto raramente compaiono sulle più diffuse gemme vitree 15; sono invece più comuni sugli oggetti di uso quotidiano, come lucerne, vetri, coppe in sigillata, ma anche sulle preziose coppe in argento di Trimalcione e nella piccola coroplastica 16. Nei mosaici e nei rilievi funerari dei magistrati municipali, che ricordano i munera di cui furono promotori 17, sono spesso rappresentati in combattimento o con la “divisa” minuziosamente descritta, di rado raffigurata sulle stele funerarie dei gladiatori stessi. È difficile stabilire di che genere di gladiatore si tratti poiché, ritratto nel momento della celebrazione della vittoria, non veste una divisa chiaramente identificabile. Indossa infatti un elmetto, un corsetto in cuoio oppure una corazza segmentata e non porta nulla a protezione delle gambe; determinante è, invece, lo scudo rotondo, posto a suoi piedi. Potrebbe trattarsi, infatti, della parma equestris, lo scudo rotondo, di medie dimensioni, tipico della cavalleria romana di età repubblicana e utilizzato unicamente dagli equites 18; caratteristici 1946, tavv. IX e X da Tolemaide di Cirenaica e pp. 115116, n. 304 da Eretria con palma e tre corone e, più in generale, ROBERT 1940. (12) ZWIERLEIN-DIEHL 1998, p. 351, n. 257, nicolo raffigurante un atleta nudo con palma e corona. (13) PLATZ-HORSTER 1994, p. 97, tav. 13, n. 68. (14) ZWIERLEIN-DIEHL 1991, tav. 15, nn. 16921698 e in particolare n. 1697, p. 63; ZWIERLEINDIEHL 1998, p. 351, n. 257. (15) HENIG 2207; i giochi dell’anfiteatro, in particolare, erano considerati appannaggio dei ceti più bassi della popolazione e pertanto scarsamente presenti nella glittica, a differenza di altre produzioni, per esempio ceramiche, in cui erano molto più frequentemente raffigurati. (16) Per una ricostruzione filologica delle divise dei gladiatori: COARELLI 2001; una rassegna di immagini in Gladiators and Caesar 2000 e più recentemente JACOBELLI 2003, pp. 99-105. (17) COARELLI 1966; un caso anche a Brescia: COMPOSTELLA 1989. (18) Gli equites sono gli unici a usare questo tipo di scudo, come appare nel rilievo del Museo Nazionale di Napoli, inv. 6704, datato tra 20 e 50 d.C., che continua a essere utilizzato anche in epoca più tarda malgrado il cambiamento di costume: mosaico della villa di Zliten al Museo Nazionale di Tripoli, III secolo d.C. Di dimensioni molto più piccole è lo scudo dell’hoplomachus che anche l’elmetto, con ampio bordo teso privo di cresta, e il corsetto a fasce orizzontali che potrebbe essere identificato con la lorica segmentata tipica delle raffigurazioni più antiche di questo genere di gladiatore, sostituita da un’ampia tunica in età imperiale 19. La produzione di Nicolo-glasgemmen è concordemente riferita a officine renane attive tra II e III secolo d.C., alle quali sono generalmente attribuite le serie di gemme vitree “tipo nicolo” note. A una datazione più alta, all’interno del II secolo d.C., se non addirittura al I secolo d.C., rimandano l’alta qualità dell’intaglio e dell’amalgama e alcuni particolari come lo scudo a spicchi e con umbone rilevato, frequente negli intagli di questo periodo, o la corazza segmentata 20. Tra gli oggetti di ornamento si segnala anche la presenza di un vago di collana costituito da quattro piccoli anellini, in vetro blu, in origine uniti tutti fra loro a formare un unico elemento (Fig. 4b). Perle multiple simili (cosiddetto tipo “grancia”) sono presenti in tombe di età longobarda, datate fra fine del VI e VII secolo d.C. 21. Il rinvenimento di Breno è indice di una frequentazione dell’area in età altomedievale. La tradizione di donare fibule attestata nel santuario protostorico continua anche in età romana. Alle fasi del santuario di epoca romana si possono riferire infatti altre tre fibule, che si aggiungono alle cinque rinvenute nei livelli d’uso dell’altare di età protostorica 22. Tutti e tre gli esemplari sono di bronzo e si collocano in un arco temporale che va dal I secolo a.C. al IIIIV secolo d.C. A età tardorepubblicano-augustea va infatti datata la fibula zoomorfa configurata a forma di cavallino (n. 6) (Fig. 5), rinvenuta nell’atrio antistante il santuario 23. L’animale è reso con tratti schematici, coda, muso, orecchie sono abbozzati con pochi cenni naturalistici, malgrado ciò la figura conserva un certo dinamismo si distingue dall’eques per l’elmo con alta cresta. (19) Sulle modalità del combattimento dell’eques: Isidoro, Origines, 18, 53ss. (20) Lo scudo con costolature radiali e umbone centrale compare su monete e intagli a partire dal I secolo a.C. Uno scudo simile è raffigurato su un intaglio dal Gran San Bernardo: FRUMUSA 2008, pp. 337-338, nota 67 con bibliografia. (21) Futuro dei Longobardi 2000, pp. 78-79, 21b e 22f, tavv. 33-34; CASAGRANDE, CESELIN 2003, pp. 44, 92 e 196, nn. 62 e 311 (VI-VII secolo d.C.); CCVL s.d., p. 111, n. 159. (22) Si veda Bonini in questo volume. (23) ROSSI 1997, p. 392, n. 122. nell’accenno di corsa. Le fibule con arco a corpo di animale sono abbastanza diffuse a partire dal V secolo a.C. fino al I secolo a.C. in contesti votivi e funerari; potevano essere realizzate a tutto tondo, a rilievo parziale o piatte, come nel caso di Breno. È raro trovare due fibule di questo genere identiche, questo è stato attribuito in parte allo scarso numero di esemplari superstiti, in parte al fatto che potessero essere prodotte su commissione24. Il cavallo è notoriamente oggetto di una particolare attenzione da parte di numerosi gruppi umani e per un lungo periodo di tempo; per quanto riguarda l’Italia settentrionale, offerte di bronzetti a forma di cavallo o di oggetti legati a questo animale sono documentate a Este, Montegrotto, Vadena e Sanzeno 25. Credo, tuttavia, che nella scelta dell’animale raffigurato sulla fibula di Breno si debba vedere la predilezione personale da parte del proprietario dell’oggetto per questo animale. Di poco più tarda è una fibula a stella, in lamina piatta con evidenti tracce di stagno (n. 7) (Fig. 6). Lo stato di conservazione non consente di riferirla a un tipo ben preciso, tuttavia è possibile ipotizzare una sua appartenenza al tipo 24 del Feugère, che raccoglie le fibule geometriche piatte, decorate generalmente con una corona di perle e argentate. Questo genere di oggetti è diffuso in Gallia, ad eccezione della Gallia meridionale, in Britannia, nell’arco alpino centrale; sporadici i ritrovamenti nei Balcani. In Italia sono documentate a Pompei e nel luogo di culto di Mechel in provincia di Trento. Le somiglianze nella tecnica di lavorazione e decorazione di tutti gli esemplari fanno pensare a una produzione tipica di un determinato atelier. Per quanto riguarda la datazione è stata notata l’assenza di attestazioni di questo tipo di fibule prima dell’età claudia, sono infatti frequenti sotto Claudio e Nerone, si ritrovano raramente in contesti Flavi, ma non compaiono mai dopo il I secolo d.C. Un ultimo genere di fibula presente a Breno è quella a tenaglia (n. 8) (Fig. 7a-b) 26, appartenente al tipo Ettlinger 52, Feugère 32 27. Le fibule di questo tipo hanno in comune la costru- (24) Fibule antiche 2008, pp. 51-53. (25) ROSSI 1999, pp. 234-235; l’importanza del cavallo si evince dalla diffusione dei bronzetti ippomorfi nelle vallate alpine e nei santuari veneti oltreché dall’usanza di seppellirlo spesso da solo. In ambito veneto si riferisce chiaramente a un culto di carattere eroico. (26) ROSSI 1997, p. 392, n. 123. (27) ETTLINGER 1973, p. 134, tav. 15; FEUGÈRE 1985, pp. 426-435. 359 a b Fig. 1. Borchietta in oro. Fig. 2. Orecchino in lamina d’oro. Fig. 4. Vaghi in pasta vitrea azzurra (a) e in vetro blu (b). Fig. 3. Gemma vitrea con gladiatore. Fig. 6. Fibula a stella in bronzo. Fig. 5. Fibula zoomorfa in bronzo. a b Fig. 8. Disco in lamina di bronzo. Fig. 9. Disco in bronzo fuso. Fig. 7a-b. Fibula a tenaglia in bronzo. zione dell’articolazione dell’arco e dell’ardiglione; infatti la tenaglia che essi formano approfitta dell’elasticità del metallo per tenere l’ardiglione nella staffa; differenti sono le forme dell’arco, che può essere a sezione piatta, fogliato, spesso o sottile, riccamente decorato o inornato, e del piede di dimensioni diverse o formato da un semplice ripiegamento dell’arco. La maggior parte è in bronzo, ma non mancano numerosi esemplari in ferro. La carta di distribuzione di questo genere di oggetti, pubblicata da Feugère, 360 dimostra la loro diffusione in tutto l’arco alpino e in Italia settentrionale in generale; gruppi sporadici sono attestati anche in Campania e in Calabria, in Grecia e nei Balcani, nell’alta valle del Rodano, nella Francia meridionale e lungo il corso del Reno e del Danubio. Proprio la particolare concentrazione di fibule a tenaglia nella zona alpina centrale e orientale depone a favore di un centro di produzione qui localizzato. La forma è assai diffusa dall’ultimo terzo del II secolo d.C. alla prima metà del III secolo d.C., nelle zone periferiche rimane in uso fino al IV secolo d.C. A Cividate Camuno è stata rinvenuta una fibula a tenaglia, che si differenzia dalla nostra per l’arco più spesso e non decorato 28. L’esemplare dal santuario trova confronti abbastanza precisi con una fibula da Calvatone datata al II secolo d.C. 29. (28) CARRARA 2004, p. 289, n. 19. (29) GRASSI 1990, p. 249, scheda 4b.4c.3. Probabilmente sono fermapieghe, inseriti di norma nell’ago di fibule, i due dischi rinvenuti (nn. 16-17) (Figg. 8-9). Elementi di ornamento personale sono, infine, un pendente raffigurante un fallo (n. 9) e un anello digitale (n. 10) entrambi in bronzo, recuperati negli strati di abbandono delle strutture flavie, datati al III-IV secolo d.C. Il fallo costituisce un tipo di amuleto molto usato nel mondo romano. Raffigurato su qualsiasi genere di oggetto - statuette, lucerne e amuleti -, all’ingresso delle case e negli incroci delle strade, venerato in riti privati e pubblici, ornato di attributi di qualunque genere, è uno dei simboli onnipresenti nella vita dell’uomo antico. Legato all’origine della vita, è identificato come forza positiva della natura e costituisce un potente amuleto contro il fascinum, cioè l’influsso nefasto esercitato da altri 30. Pendagli in bronzo e in altri materiali, come oro, ambra, corallo, erano frequentemente esibiti al collo per stornare ogni influenza malefica. L’anello in bronzo con verga a nastro e castone con incavo quadrangolare destinato ad accogliere un elemento in altro materiale si ispira alla forma più comune in oro con verga liscia e castone con gemma e rientra in una tipologia di oggetti diffusi nel corso del III secolo d.C. 31. A sistemi di sospensione vanno riferiti gli altri anelli in bronzo recuperati (nn. 14-15). Probabilmente pertinenti a parti di decorazioni di oggetti non specificati sono le due lamine in bronzo (nn. 11-12). 1) Borchia St. 160705, US 1131 (14); Tav. I, 1, Fig. 1 Diametro 0,5 centimetri Piccola borchia a calotta in oro; i margini sono ritagliati e non reca tracce di altri materiali che potessero essere utilizzati per il fissaggio. 2) Orecchino St. 113477, US 1079; Fig. 2 Altezza 2,4 centimetri; lunghezza 1 centimetro; diametro disco 1,3 centimetri; spessore lamina 0,2 centimetri; spessore gambo 0,5 centimetri Orecchino a disco in lamina d’oro, a profilo emisferico, decorato nella parte anteriore da un motivo a rosetta stilizzata reso con minuti globetti divisi da tratti; gambo in filo a sezione circolare, decorato a brevi trattini incisi. (30) DAGR, II, 1, s.v. Fascinum, coll. 983-987 (G. Lafaye). (31) FACCHINI 1990. 3) Gemma vitrea St. 123943, US 1077; Fig. 3 Altezza 1,5 centimetri; larghezza 1 centimetro Gemma vitrea a imitazione del nicolo. Breve linea di base. Figura maschile stante in posizione frontale con testa a sinistra, la gamba sinistra in appoggio e la destra in posizione di scarico; indossa una corta tunica e un corsetto; la parte inferiore del ventre e le cosce sono coperte da tre strisce orizzontali; sul capo porta un elmo piatto con tesa, soggolo e maschera di protezione, il lato visibile reca una decorazione a linee; ha il braccio sinistro alzato e flesso e tiene nella mano una corona con vittae pendenti, con il braccio destro, piegato verso il basso, regge un ramo di palma, ai suoi piedi uno scudo con umbone centrale raffigurato di tre quarti. 4) Vago St. 123942, US 1098; Fig. 4a Conservato per circa una metà, è in pasta vitrea azzurra, con grande foro centrale e costolature irregolari, solo parzialmente ben delineate. 5) Vago St. 161248, sporadico; Fig. 4b Costituito da quattro anellini in vetro blu, in origine uniti tutti tra loro a formare un unico elemento. 6) Fibula zoomorfa St. 113479, livelli di età augustea; Fig. 5 Altezza massima 2,8 centimetri; lunghezza massima conservata 4,3 centimetri Fibula a cerniera in bronzo con arco configurato a forma schematica di cavallo. 7) Fibula a stella St. 160636, US 1150; Fig. 6 Diametro 2,8 centimetri; spessore 0,2 centimetri Fibula a cerniera in bronzo configurata a stella. 8) Fibula a tenaglia St. 113478, pulizia; Fig. 7a-b Altezza massima 1,8 centimetri; lunghezza massima 5 centimetri Breve staffa, arco a nastro foliato decorato ai margini con una serie di puntini incisi, in bronzo. 9) Pendente St. 160642, US 909 zona N; Tav. I, 2 Lunghezza 2,5 centimetri; diametro 0,4 centimetri Pendente in bronzo a fusione piena a forma di fallo, anello di sospensione circolare. 10) Anello digitale St. 123941, US 1076; Tav. I, 3 Larghezza 2 centimetri; spessore verga 0,2 centimetri Anello digitale in bronzo con verga a nastro e castone con incavo di forma quadrangolare, privo dell’elemento decorativo contenuto nel castone. 11) Lamina St. 160643, US 909 zona N; Tav. I, 4 Misure 1,7x1,7 centimetri; spessore 0,1 centimetri Metà di una piccola lamina in bronzo di forma grosso modo quadrata con duplice foro al centro. 12) Lamina St. 160645, pulizia area S; Tav. I, 5 Misure 1,7x1,3 centimetri; spessore 0,1 centimetri Metà di una piccola lamina in bronzo di forma circolare (?), con un foro quadrato al centro, diviso in due da una sottile barra; forse si tratta di un elemento decorativo. 13) Borchia St. 160075, US 1147 (41); Tav. I, 6 Diametro capocchia 1,5 centimetri; diametro gambo 0,2 centimetri Borchia in bronzo con capocchia circolare e gambo a sezione circolare; doveva essere applicata a un supporto poiché conserva ancora del piombo di fissaggio all’interno della testa. 14) Anello St. 160640, pulizia; Tav. I, 7 Diametro 1,1 centimetri; altezza 0,2 centimetri; spessore 0,2 centimetri Anello in bronzo a capi aperti e sovrapposti, verga a sezione circolare. 15) Anello St. 160644, pulizia area S; Tav. I, 8 Diametro 1,5 centimetri; altezza 0,2 centimetri; spessore 0,3 centimetri Verga a sezione circolare, ribattuta e appiattita, a capi aperti e accostati, in bronzo. 16) Disco St. 121127, US 1058 (44); Tav. I, 9, Fig. 8 Diametro 3 centimetri; spessore 0,1 centimetri; diametro foro 0,5 centimetri Disco in lamina di bronzo con foro centrale. 17) Disco St. 121128, vano 5 (45); Tav. I, 10, Fig. 9 361 3 1 2 5 4 7 6 8 9 10 Tav. I. 1. Borchia in oro; 2. Pendente in bronzo; 3. Anello digitale in bronzo; 4-5. Lamine in bronzo; 6. Borchia in bronzo; 7-8. Anelli in bronzo; 9-10. Dischi in bronzo (scala 1:1) (dis. A. Massari). Diametro 2,5 centimetri; spessore 0,4 centimetri; diametro foro 0,4 centimetri Disco in bronzo fuso, sezione a calotta, con foro centrale. 362 ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE BECATTI G. 1955, Oreficerie antiche dalle minoiche alle barbariche, Roma. BREGLIA L. 1941, Catalogo delle oreficerie del Museo Nazionale di Napoli, Roma. CARRARA M. 2004, Instrumentum, in Il teatro e l’anfiteatro di Cividate Camuno. Scavo, restauro e allestimento di un parco archeologico, a cura di V. Mariotti, Firenze, pp. 283-306. CASAGRANDE C., CESELIN F. 2003, Vetri antichi delle Province di Belluno, Treviso e Vicenza (Corpus delle collezioni archeologiche del vetro nel Veneto, 7), Venezia. CCVL s.d., Corpus delle Collezioni del Vetro in Lombardia. 2.1. Pavia. Età antica, Cremona. 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