Antonella Bonini
Oggetti d’ornamento
Il numero degli oggetti d’ornamento personale
rinvenuti negli strati pertinenti al santuario di
età romana è nettamente minore rispetto a
quello degli oggetti recuperati nell’area occupata
dagli altari preromani. Le modalità del rinvenimento e le vicende del santuario posteriori al
suo abbandono, inoltre, non consentono di
stabilire se si tratti di doni deposti intenzionalmente oppure di oggetti perduti da parte
del proprietario; infatti la maggior parte dei
manufatti proviene da strati di crollo e di
degrado delle strutture dell’area sacra.
Si tratta di una borchia e di un orecchino,
entrambi in oro, di una gemma vitrea incisa, di
due vaghi vitrei e di tre fibule, due dischi forati
al centro, un anello digitale e altri anelli di piccole
dimensioni, forse parte di catene, di un pendaglio a forma di fallo, una seconda borchia e
frammenti di laminette, tutti in bronzo.
La piccola borchia in oro (n. 1) (Fig. 1), i cui
margini sono ritagliati, doveva fare parte di un
oggetto di dimensioni maggiori, non reca infatti
tracce di altro materiale che poteva essere utilizzato per il fissaggio a un supporto, oppure di
lavorazioni che la assicurassero a un altro
oggetto. Potrebbe trattarsi della sommità della
calotta di una bulla o forse anche di parte delle
borchie di chiusura di una collana o di un orecchino 1; le condizioni di conservazione del pezzo
non consentono di stabilire altro. La borchia è
stata rinvenuta nelle ricariche di terreno effettuate per la costruzione del santuario di età
flavia attorno all’85 d.C., che costituisce il
termine ante quem per la presenza di questo
oggetto, ma non è possibile stabilire se esso
provenga dall’area degli altari protostorici,
rimasta in uso fino al I secolo d.C., oppure
dalle strutture del santuario di età augustea.
L’orecchino è uno degli oggetti d’ornamento
personale più frequenti nel mondo antico, tipico
dell’ambito muliebre; di esso esistono così
numerosi tipi comuni a tutto il mondo romano
Sono grata a Martin Henig, Gertrud Platz ed Erika
Zwierlein-Diehl per i consigli, i preziosi suggerimenti e le
indicazioni bibliografiche che mi hanno confortato nello
studio della pasta vitrea.
(1) PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1992, passim.
358
da rendere impossibile una loro classificazione
o l’identificazione di una moda o di un gusto
locale 2. Al pari di altri oggetti preziosi erano
offerti alle divinità e registrati nell’inventario dei
donari dei templi.
L’orecchino rinvenuto nel santuario di Breno è
in lamina d’oro, schiacciato e lacunoso (n. 2)
(Fig. 2). Il disco è decorato con una rosetta stilizzata, costituita da serie concentriche di minuscoli tratti. I confronti più immediati
rimandano al prototipo degli orecchini a disco
di produzione ellenistica, di lunga tradizione,
con rosetta centrale a più ordini di petali 3. Il
modello conosce una vita lunghissima e viene
prodotto anche dalle officine orafe tardoromane
che riprendono e rielaborano i modelli classici 4
dando origine al tipo a cestello ampiamente
attestato nell’area dei passi alpini e in Europa
tra VI e VIII secolo d.C. 5. Già la Melucco
Vaccaro, analizzando le caratteristiche tecniche
degli orecchini a cestello diffusi nei passi alpini,
che costituiscono un gruppo omogeneo presente non a caso nelle aree di più intensa romanizzazione 6, aveva supposto qui la presenza di
officine locali, influenzate proprio dalla produzione tardoromana. L’esemplare di Breno,
che si differenzia dai più tardi orecchini a
cestello per l’assenza del pendente e dell’anello
di sospensione, sostituito da un filo decorato a
trattini incisi, parrebbe costituire un trait
d’union tra gli orecchini a disco di tradizione
ellenistica e quelli a cestello tipici dell’oreficeria tardoromana e altomedievale 7.
La gemma vitrea (n. 3) (Fig. 3) proviene da
contesti di abbandono del santuario, pertanto,
(2) Monili vesuviani 1997, p. 18.
(3) Ori di Taranto 1984, pp. 160-179.
(4) BECATTI 1955, p. 196, n. 388; gli orecchini a disco
con rosetta centrale, cui sono però appesi vari pendagli,
sono uno dei modelli più diffusi per tutto l’ellenismo;
vengono rielaborati in nuove forme in età tardoantica:
orecchini da Castel Trosino, tomba 128, BECATTI
1955, p. 125.
(5) MELUCCO VACCARO 1972, p. 11 da Dos Trento,
Igls, Vervò, Matrei, Torino Lingotto e Testona, Trento,
tutti dipendenti dal tipo di “Castel Trosino”.
(6) MELUCCO VACCARO 1972; cfr. anche BREGLIA
1941, pp. 94-100.
(7) ROSSI 1997.
anche in questo caso, non è possibile stabilire
se facesse parte di un oggetto deposto nel santuario oppure, più semplicemente, non sia stata
perduta dal proprietario.
La gemma, a imitazione del nicolo, è giunta
lacunosa e in frattura mostra una porosità che ne
indica l’alta qualità; lo strato bianco-azzurrino del
fronte ha aspetto decisamente compatto, vetroso,
siliceo, con una sottile superficie di adesione
tendente a formare bolle sul fronte e lungo le
pareti quasi a creare un effetto cammeo 8. È di
forma ovale, con superficie inferiore piana,
mentre la superiore è piana nella parte recante
l’incisione con i bordi inclinati; corrisponde alla
forma 11 della Zwierlein-Diehl 9.
La raffigurazione è inconsueta e non trova confronti precisi nei numerosi repertori di collezioni
e musei; il fatto è abbastanza insolito poiché
questo tipo di produzione, che prevede la presenza di matrici incise da cui ricavare gli stampi
per le gemme vitree, è seriale e ripetitivo, tanto
che è frequente l’esistenza di serie derivanti,
direttamente o indirettamente, da un medesimo
originale. Ma l’osservazione delle caratteristiche
tecniche dell’incisione ne ha rivelato una certa
cura; infatti la nitidezza dei solchi, in particolare del busto della figura e dello scudo, non
è confrontabile con quella che si riscontra normalmente nei lavori a stampo nei quali i dettagli sono più incerti e confusi e fa sospettare
che l’incisione sia stata effettuata direttamente
sul vetro, con l’impiego di dischi non troppo
sottili e della punta “semitonda” (Flachperl) 10.
La figura rappresentata è un gladiatore vittorioso, stante, che con il braccio destro regge la
palma e con il sinistro una corona da cui
pendono delle bende, ai suoi piedi uno scudo
rotondo con costolature radiali e umbone centrale 11. Lo schema di riferimento, abbastanza
(8) Devo le osservazioni sulla composizione della gemma
vitrea a Lucia Miazzo.
(9) ZWIERLEIN-DIEHL 1973, p. 15.
(10) Sulle tecniche di produzione delle gemme vitree:
MAGNI, TASSINARI c.s. Ad Alessandra Magni e
Gabriella Tassinari grazie per tutte le indicazioni bibliografiche e le osservazioni tecniche.
(11) La rappresentazione di palme e corone si ritrova di
frequente sui rilievi funerari di gladiatori: ROBERT
comune, è quello dell’atleta nudo, stante, che
appare su un intaglio in nicolo da Colonia 12,
mentre atleti nudi con palma e uno scudo compaiono su un altro intaglio in nicolo da
Xanten 13 e su un intaglio in corniola a
Vienna 14. Gladiatori sono raramente raffigurati
su oggetti di pregio, come le gemme, e altrettanto raramente compaiono sulle più diffuse
gemme vitree 15; sono invece più comuni sugli
oggetti di uso quotidiano, come lucerne, vetri,
coppe in sigillata, ma anche sulle preziose coppe
in argento di Trimalcione e nella piccola coroplastica 16. Nei mosaici e nei rilievi funerari dei
magistrati municipali, che ricordano i munera
di cui furono promotori 17, sono spesso rappresentati in combattimento o con la “divisa”
minuziosamente descritta, di rado raffigurata
sulle stele funerarie dei gladiatori stessi.
È difficile stabilire di che genere di gladiatore
si tratti poiché, ritratto nel momento della celebrazione della vittoria, non veste una divisa
chiaramente identificabile. Indossa infatti un
elmetto, un corsetto in cuoio oppure una
corazza segmentata e non porta nulla a protezione delle gambe; determinante è, invece, lo
scudo rotondo, posto a suoi piedi. Potrebbe
trattarsi, infatti, della parma equestris, lo scudo
rotondo, di medie dimensioni, tipico della
cavalleria romana di età repubblicana e utilizzato unicamente dagli equites 18; caratteristici
1946, tavv. IX e X da Tolemaide di Cirenaica e pp. 115116, n. 304 da Eretria con palma e tre corone e, più in
generale, ROBERT 1940.
(12) ZWIERLEIN-DIEHL 1998, p. 351, n. 257, nicolo
raffigurante un atleta nudo con palma e corona.
(13) PLATZ-HORSTER 1994, p. 97, tav. 13, n. 68.
(14) ZWIERLEIN-DIEHL 1991, tav. 15, nn. 16921698 e in particolare n. 1697, p. 63; ZWIERLEINDIEHL 1998, p. 351, n. 257.
(15) HENIG 2207; i giochi dell’anfiteatro, in particolare, erano considerati appannaggio dei ceti più bassi
della popolazione e pertanto scarsamente presenti nella
glittica, a differenza di altre produzioni, per esempio
ceramiche, in cui erano molto più frequentemente raffigurati.
(16) Per una ricostruzione filologica delle divise dei gladiatori: COARELLI 2001; una rassegna di immagini in
Gladiators and Caesar 2000 e più recentemente JACOBELLI 2003, pp. 99-105.
(17) COARELLI 1966; un caso anche a Brescia: COMPOSTELLA 1989.
(18) Gli equites sono gli unici a usare questo tipo di
scudo, come appare nel rilievo del Museo Nazionale di
Napoli, inv. 6704, datato tra 20 e 50 d.C., che continua
a essere utilizzato anche in epoca più tarda malgrado il
cambiamento di costume: mosaico della villa di Zliten
al Museo Nazionale di Tripoli, III secolo d.C. Di dimensioni molto più piccole è lo scudo dell’hoplomachus che
anche l’elmetto, con ampio bordo teso privo di
cresta, e il corsetto a fasce orizzontali che
potrebbe essere identificato con la lorica segmentata tipica delle raffigurazioni più antiche
di questo genere di gladiatore, sostituita da
un’ampia tunica in età imperiale 19.
La produzione di Nicolo-glasgemmen è concordemente riferita a officine renane attive tra II
e III secolo d.C., alle quali sono generalmente
attribuite le serie di gemme vitree “tipo nicolo”
note. A una datazione più alta, all’interno del
II secolo d.C., se non addirittura al I secolo
d.C., rimandano l’alta qualità dell’intaglio e
dell’amalgama e alcuni particolari come lo scudo
a spicchi e con umbone rilevato, frequente negli
intagli di questo periodo, o la corazza segmentata 20.
Tra gli oggetti di ornamento si segnala anche la
presenza di un vago di collana costituito da
quattro piccoli anellini, in vetro blu, in origine
uniti tutti fra loro a formare un unico elemento
(Fig. 4b). Perle multiple simili (cosiddetto tipo
“grancia”) sono presenti in tombe di età longobarda, datate fra fine del VI e VII secolo d.C. 21.
Il rinvenimento di Breno è indice di una frequentazione dell’area in età altomedievale.
La tradizione di donare fibule attestata nel santuario protostorico continua anche in età
romana. Alle fasi del santuario di epoca romana
si possono riferire infatti altre tre fibule, che si
aggiungono alle cinque rinvenute nei livelli
d’uso dell’altare di età protostorica 22. Tutti e tre
gli esemplari sono di bronzo e si collocano in
un arco temporale che va dal I secolo a.C. al IIIIV secolo d.C.
A età tardorepubblicano-augustea va infatti
datata la fibula zoomorfa configurata a forma
di cavallino (n. 6) (Fig. 5), rinvenuta nell’atrio
antistante il santuario 23. L’animale è reso con
tratti schematici, coda, muso, orecchie sono
abbozzati con pochi cenni naturalistici, malgrado ciò la figura conserva un certo dinamismo
si distingue dall’eques per l’elmo con alta cresta.
(19) Sulle modalità del combattimento dell’eques: Isidoro,
Origines, 18, 53ss.
(20) Lo scudo con costolature radiali e umbone centrale
compare su monete e intagli a partire dal I secolo a.C.
Uno scudo simile è raffigurato su un intaglio dal Gran
San Bernardo: FRUMUSA 2008, pp. 337-338, nota 67
con bibliografia.
(21) Futuro dei Longobardi 2000, pp. 78-79, 21b e 22f,
tavv. 33-34; CASAGRANDE, CESELIN 2003, pp. 44,
92 e 196, nn. 62 e 311 (VI-VII secolo d.C.); CCVL s.d.,
p. 111, n. 159.
(22) Si veda Bonini in questo volume.
(23) ROSSI 1997, p. 392, n. 122.
nell’accenno di corsa. Le fibule con arco a corpo
di animale sono abbastanza diffuse a partire dal
V secolo a.C. fino al I secolo a.C. in contesti
votivi e funerari; potevano essere realizzate a
tutto tondo, a rilievo parziale o piatte, come nel
caso di Breno. È raro trovare due fibule di questo
genere identiche, questo è stato attribuito in
parte allo scarso numero di esemplari superstiti,
in parte al fatto che potessero essere prodotte su
commissione24. Il cavallo è notoriamente oggetto
di una particolare attenzione da parte di numerosi
gruppi umani e per un lungo periodo di tempo;
per quanto riguarda l’Italia settentrionale, offerte
di bronzetti a forma di cavallo o di oggetti legati
a questo animale sono documentate a Este, Montegrotto, Vadena e Sanzeno 25. Credo, tuttavia,
che nella scelta dell’animale raffigurato sulla
fibula di Breno si debba vedere la predilezione
personale da parte del proprietario dell’oggetto
per questo animale.
Di poco più tarda è una fibula a stella, in lamina
piatta con evidenti tracce di stagno (n. 7) (Fig.
6). Lo stato di conservazione non consente di
riferirla a un tipo ben preciso, tuttavia è possibile
ipotizzare una sua appartenenza al tipo 24 del
Feugère, che raccoglie le fibule geometriche
piatte, decorate generalmente con una corona
di perle e argentate. Questo genere di oggetti è
diffuso in Gallia, ad eccezione della Gallia meridionale, in Britannia, nell’arco alpino centrale;
sporadici i ritrovamenti nei Balcani. In Italia
sono documentate a Pompei e nel luogo di
culto di Mechel in provincia di Trento. Le somiglianze nella tecnica di lavorazione e decorazione
di tutti gli esemplari fanno pensare a una produzione tipica di un determinato atelier. Per
quanto riguarda la datazione è stata notata
l’assenza di attestazioni di questo tipo di fibule
prima dell’età claudia, sono infatti frequenti
sotto Claudio e Nerone, si ritrovano raramente
in contesti Flavi, ma non compaiono mai dopo
il I secolo d.C.
Un ultimo genere di fibula presente a Breno è
quella a tenaglia (n. 8) (Fig. 7a-b) 26, appartenente al tipo Ettlinger 52, Feugère 32 27. Le
fibule di questo tipo hanno in comune la costru-
(24) Fibule antiche 2008, pp. 51-53.
(25) ROSSI 1999, pp. 234-235; l’importanza del cavallo
si evince dalla diffusione dei bronzetti ippomorfi nelle
vallate alpine e nei santuari veneti oltreché dall’usanza di
seppellirlo spesso da solo. In ambito veneto si riferisce
chiaramente a un culto di carattere eroico.
(26) ROSSI 1997, p. 392, n. 123.
(27) ETTLINGER 1973, p. 134, tav. 15; FEUGÈRE
1985, pp. 426-435.
359
a
b
Fig. 1. Borchietta in oro.
Fig. 2. Orecchino in lamina d’oro.
Fig. 4. Vaghi in pasta vitrea azzurra (a) e in vetro blu (b).
Fig. 3. Gemma vitrea con gladiatore.
Fig. 6. Fibula a stella in bronzo.
Fig. 5. Fibula zoomorfa in bronzo.
a
b
Fig. 8. Disco in lamina di bronzo.
Fig. 9. Disco in bronzo fuso.
Fig. 7a-b. Fibula a tenaglia in bronzo.
zione dell’articolazione dell’arco e dell’ardiglione; infatti la tenaglia che essi formano approfitta dell’elasticità del metallo per tenere l’ardiglione nella staffa; differenti sono le forme dell’arco, che può essere a sezione piatta, fogliato,
spesso o sottile, riccamente decorato o inornato,
e del piede di dimensioni diverse o formato da
un semplice ripiegamento dell’arco. La maggior
parte è in bronzo, ma non mancano numerosi
esemplari in ferro. La carta di distribuzione di
questo genere di oggetti, pubblicata da Feugère,
360
dimostra la loro diffusione in tutto l’arco alpino
e in Italia settentrionale in generale; gruppi
sporadici sono attestati anche in Campania e in
Calabria, in Grecia e nei Balcani, nell’alta valle
del Rodano, nella Francia meridionale e lungo
il corso del Reno e del Danubio. Proprio la
particolare concentrazione di fibule a tenaglia
nella zona alpina centrale e orientale depone a
favore di un centro di produzione qui localizzato. La forma è assai diffusa dall’ultimo
terzo del II secolo d.C. alla prima metà del III
secolo d.C., nelle zone periferiche rimane in
uso fino al IV secolo d.C. A Cividate Camuno
è stata rinvenuta una fibula a tenaglia, che si differenzia dalla nostra per l’arco più spesso e non
decorato 28. L’esemplare dal santuario trova confronti abbastanza precisi con una fibula da Calvatone datata al II secolo d.C. 29.
(28) CARRARA 2004, p. 289, n. 19.
(29) GRASSI 1990, p. 249, scheda 4b.4c.3.
Probabilmente sono fermapieghe, inseriti di
norma nell’ago di fibule, i due dischi rinvenuti
(nn. 16-17) (Figg. 8-9).
Elementi di ornamento personale sono, infine,
un pendente raffigurante un fallo (n. 9) e un
anello digitale (n. 10) entrambi in bronzo, recuperati negli strati di abbandono delle strutture
flavie, datati al III-IV secolo d.C.
Il fallo costituisce un tipo di amuleto molto
usato nel mondo romano. Raffigurato su qualsiasi genere di oggetto - statuette, lucerne e
amuleti -, all’ingresso delle case e negli incroci
delle strade, venerato in riti privati e pubblici,
ornato di attributi di qualunque genere, è uno
dei simboli onnipresenti nella vita dell’uomo
antico. Legato all’origine della vita, è identificato come forza positiva della natura e costituisce un potente amuleto contro il fascinum,
cioè l’influsso nefasto esercitato da altri 30. Pendagli in bronzo e in altri materiali, come oro,
ambra, corallo, erano frequentemente esibiti
al collo per stornare ogni influenza malefica.
L’anello in bronzo con verga a nastro e castone
con incavo quadrangolare destinato ad accogliere un elemento in altro materiale si ispira alla
forma più comune in oro con verga liscia e
castone con gemma e rientra in una tipologia
di oggetti diffusi nel corso del III secolo d.C. 31.
A sistemi di sospensione vanno riferiti gli altri
anelli in bronzo recuperati (nn. 14-15).
Probabilmente pertinenti a parti di decorazioni
di oggetti non specificati sono le due lamine in
bronzo (nn. 11-12).
1) Borchia
St. 160705, US 1131 (14); Tav. I, 1, Fig. 1
Diametro 0,5 centimetri
Piccola borchia a calotta in oro; i margini sono
ritagliati e non reca tracce di altri materiali che
potessero essere utilizzati per il fissaggio.
2) Orecchino
St. 113477, US 1079; Fig. 2
Altezza 2,4 centimetri; lunghezza 1 centimetro;
diametro disco 1,3 centimetri; spessore lamina
0,2 centimetri; spessore gambo 0,5 centimetri
Orecchino a disco in lamina d’oro, a profilo
emisferico, decorato nella parte anteriore da
un motivo a rosetta stilizzata reso con minuti
globetti divisi da tratti; gambo in filo a sezione
circolare, decorato a brevi trattini incisi.
(30) DAGR, II, 1, s.v. Fascinum, coll. 983-987 (G.
Lafaye).
(31) FACCHINI 1990.
3) Gemma vitrea
St. 123943, US 1077; Fig. 3
Altezza 1,5 centimetri; larghezza 1 centimetro
Gemma vitrea a imitazione del nicolo. Breve
linea di base. Figura maschile stante in posizione
frontale con testa a sinistra, la gamba sinistra in
appoggio e la destra in posizione di scarico;
indossa una corta tunica e un corsetto; la parte
inferiore del ventre e le cosce sono coperte da
tre strisce orizzontali; sul capo porta un elmo
piatto con tesa, soggolo e maschera di protezione, il lato visibile reca una decorazione a
linee; ha il braccio sinistro alzato e flesso e tiene
nella mano una corona con vittae pendenti,
con il braccio destro, piegato verso il basso,
regge un ramo di palma, ai suoi piedi uno scudo
con umbone centrale raffigurato di tre quarti.
4) Vago
St. 123942, US 1098; Fig. 4a
Conservato per circa una metà, è in pasta vitrea
azzurra, con grande foro centrale e costolature
irregolari, solo parzialmente ben delineate.
5) Vago
St. 161248, sporadico; Fig. 4b
Costituito da quattro anellini in vetro blu, in
origine uniti tutti tra loro a formare un unico
elemento.
6) Fibula zoomorfa
St. 113479, livelli di età augustea; Fig. 5
Altezza massima 2,8 centimetri; lunghezza
massima conservata 4,3 centimetri
Fibula a cerniera in bronzo con arco configurato a forma schematica di cavallo.
7) Fibula a stella
St. 160636, US 1150; Fig. 6
Diametro 2,8 centimetri; spessore 0,2 centimetri
Fibula a cerniera in bronzo configurata a stella.
8) Fibula a tenaglia
St. 113478, pulizia; Fig. 7a-b
Altezza massima 1,8 centimetri; lunghezza
massima 5 centimetri
Breve staffa, arco a nastro foliato decorato ai
margini con una serie di puntini incisi, in
bronzo.
9) Pendente
St. 160642, US 909 zona N; Tav. I, 2
Lunghezza 2,5 centimetri; diametro 0,4 centimetri
Pendente in bronzo a fusione piena a forma di
fallo, anello di sospensione circolare.
10) Anello digitale
St. 123941, US 1076; Tav. I, 3
Larghezza 2 centimetri; spessore verga 0,2 centimetri
Anello digitale in bronzo con verga a nastro e
castone con incavo di forma quadrangolare,
privo dell’elemento decorativo contenuto nel
castone.
11) Lamina
St. 160643, US 909 zona N; Tav. I, 4
Misure 1,7x1,7 centimetri; spessore 0,1 centimetri
Metà di una piccola lamina in bronzo di forma
grosso modo quadrata con duplice foro al
centro.
12) Lamina
St. 160645, pulizia area S; Tav. I, 5
Misure 1,7x1,3 centimetri; spessore 0,1 centimetri
Metà di una piccola lamina in bronzo di forma
circolare (?), con un foro quadrato al centro,
diviso in due da una sottile barra; forse si tratta
di un elemento decorativo.
13) Borchia
St. 160075, US 1147 (41); Tav. I, 6
Diametro capocchia 1,5 centimetri; diametro
gambo 0,2 centimetri
Borchia in bronzo con capocchia circolare e
gambo a sezione circolare; doveva essere
applicata a un supporto poiché conserva ancora
del piombo di fissaggio all’interno della testa.
14) Anello
St. 160640, pulizia; Tav. I, 7
Diametro 1,1 centimetri; altezza 0,2 centimetri;
spessore 0,2 centimetri
Anello in bronzo a capi aperti e sovrapposti,
verga a sezione circolare.
15) Anello
St. 160644, pulizia area S; Tav. I, 8
Diametro 1,5 centimetri; altezza 0,2 centimetri;
spessore 0,3 centimetri
Verga a sezione circolare, ribattuta e appiattita,
a capi aperti e accostati, in bronzo.
16) Disco
St. 121127, US 1058 (44); Tav. I, 9, Fig. 8
Diametro 3 centimetri; spessore 0,1 centimetri;
diametro foro 0,5 centimetri
Disco in lamina di bronzo con foro centrale.
17) Disco
St. 121128, vano 5 (45); Tav. I, 10, Fig. 9
361
3
1
2
5
4
7
6
8
9
10
Tav. I. 1. Borchia in oro; 2. Pendente in bronzo; 3. Anello digitale in bronzo; 4-5. Lamine in bronzo; 6. Borchia in bronzo; 7-8. Anelli in bronzo; 9-10. Dischi in
bronzo (scala 1:1) (dis. A. Massari).
Diametro 2,5 centimetri; spessore 0,4 centimetri; diametro foro 0,4 centimetri
Disco in bronzo fuso, sezione a calotta, con
foro centrale.
362
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